Per poter studiare il comportamento di un aereo, è necessario fissare un concetto molto importante: cosa si intende, ingegneristicamente, con stabilità e manovrabilità. Un sistema è stabile se e solo se, dopo una perturbazione esterna, esso tenda a ritornare allo stato di configurazione iniziale.
Per fare un esempio molto semplice, analizziamo i casi riportati nella figura seguente.
Innanzitutto, è necessario sottolineare che con la parola “sistema”, si intendono sia la “pallina”, sia la superficie su cui essa è appoggiata. Considerando il CASO A, qualsiasi perturbazione subirà la pallina nel punto P, ritornerà sempre in quel punto; il sistema è stabile. Nel CASO B, a fronte di una perturbazione del sistema, la pallina non si assesterà in un punto preciso: tutti i punti sono possibili punti di stabilità; in questo caso il sistema è neutro, oppure la sua stabilità è indifferente. Infine, nel CASO C, la “pallina” inizierà un moto che la porterà “molto molto” lontana dal punto di partenza P: il sistema è instabile.
Da un punto di vista ingegneristico, la perturbazione è uno spostamento abbastanza piccolo che si applica al sistema. Difatti, lo studio della stabilità si basa sull’analisi del sistema negli intorni (ovvero nelle vicinanze) di un punto P desiderato.
Da un punto di vista teorico, la studio della stabilità di un sistema sembra qualcosa di intuitivo e semplice, ma purtroppo (e per fortuna!) gli aerei non sono “palline” e l’atmosfera non è una pista per biglie. Prima di iniziare, è necessario fissare un concetto fondamentale: il momento di una forza. Esso non è nient’altro che quel “fenomeno” che si genera quando applichiamo una forza in un punto differente dal centro di rotazione di un oggetto. Per fare un esempio: per ruotare il volante di un’automobile, si spinge verso l’alto quando la mano si trova ai lati del volante; questo succede perché sto applicando una forza non nel centro di rotazione dello sterzo, ma ad una certa distanza, chiamata braccio.
Tornando in cielo: un aereo è in grado di volare grazie alle ali, e in particolare grazie alla portanza (forza verso l’alto) che esse generano. Tuttavia, ci sono due problemi:
Per risolvere i primi due problemi, gli aerei possiedono il cosiddetto impennaggio di coda o piano di coda che è composto da due componenti fisse:
Ora è necessario introdurre i comandi principali di un aereo e i relativi effetti:
A causa della sua intrinseca asimmetria, lo studio dell’equilibrio longitudinale, ovvero attorno all’asse di beccheggio è quello più complesso ed interessante. Come detto all’inizio del paragrafo precedente, se un aereo fosse composto dalle sole ali e la fusoliera, si genererebbe una coppia di forze fra la portanza e la forza peso: il punto in cui si applica la portanza si chiama centro aerodinamico, invece quello in cui si applica la forza peso centro di gravità.
Osservando la figura soprastante, risulta che, se non esistesse il piano di coda, la portanza delle ali (Lift) generebbe immediatamente un momento (“muso” in giù) sul velivolo. La portanza del piano di coda (Tail Lift) rivolta verso il basso equilibra l’equazione (anche la portanza dell’impennaggio orizzontale si applica convenzionalmente in un punto specifico, che è il centro aerodinamico di coda):
Nonostante la portanza in coda sia minore rispetto a quella delle ali, il suo braccio, d2, è molto maggiore rispetto a quello delle ali, d1. In questa semplicissima equazione di equilibrio risiede la motivazione per la quale è fondamentale la distribuzione del carico all’interno del velivolo e la sua massa. Difatti, esiste un range massimo di escursione del centro di gravità ammissibile per un aereo, determinato dalla sua aerodinamica; immaginate queste due situazioni estreme:
Riassumendo, il centro di gravità di un aereo deve stare sempre in un determinato range. Se siete su un aereo, cercate di non spostarvi contemporaneamente tutti avanti, o tutti indietro!
Immaginate di essere a bordo del vostro aereo, pronti per andare finalmente in vacanza: esso decolla e raggiunge la sua quota di crociera. Il segnale luminoso delle cinture si spegne, autorizzandovi a slacciarle (anche se sarebbe meglio comunque tenerle allacciate, se si rimane seduti), rendendo disponibili vivande e bevande in cabina e dandovi la possibilità di andare in bagno. In cabina, il comandante e il primo ufficiale hanno inserito il pilota automatico: esso si mantiene lungo una rotta prestabilita a una certa quota.
Giunti a questo punto anche loro si possono rilassare, dal momento che motori, aerodinamica ed informatica collaborano in modo sinergico (e molto efficiente) per tenere il velivolo nelle condizioni desiderate. Improvvisamente, una raffica costringe i piloti a correggere l’assetto del velivolo, muovendo la cloche in avanti (muso verso il basso) per, poi, rilasciare il comando. A questo punto, entra in gioco la stabilità: come si comporterà l’aereo? Analizziamo i tre casi che si possono verificare.
Ragionando sulla precedente analisi risulta chiaro che sia meglio progettare un velivolo stabile, tuttavia c’è un problema: per il 95% del tempo di volo, un aereo di linea si trova in condizioni di crociera, di conseguenza è necessario che esso sia stabile. Nel restante 5% di tempo, il velivolo deve rispondere direttamente ai comandi dei piloti, portandosi nella nuova condizione richiesta, senza tendere a tornare in quella iniziale: ad esempio, durante un atterraggio, il pilota deve avere un controllo diretto del suo aeromobile. Immaginate un’automobile che va sempre dritta: sarebbe perfetta per una Drag Race, ma totalmente inutile su una normale pista di Formula 1. La nuova componente da tenere in considerazione, oltre la stabilità, è la manovrabilità: essa misura quanto un aereo sia in grado di rispondere ai comandi del pilota.
Se al posto di un aereo di linea, analizzassimo il volo tipico di un aereo militare, o di uno acrobatico, ci renderemmo conto che, probabilmente, per il 95% del tempo esso non sia mai, né in condizioni di crociera, né negli stessi assetti durante la missione/esibizione. Difatti, questa tipologia di aerei viene appositamente costruita per essere sempre in un punto di equilibrio instabile, in modo da poter variare il loro assetto in modo repentino. Una domanda sorge spontanea: com’è possibile che riescano a volare sempre in una tale configurazione? Semplice: rispetto ad un aereo di linea, essi hanno un rapporto maggiore fra spinta e peso, di conseguenza riescono sempre ad uscire da una qualsiasi condizione grazie alla loro grande potenza disponibile.
Stabilità e manovrabilità di un aereo sono, quindi, termini opposti? Non esattamente: innanzitutto è necessario identificare la tipologia di velivolo da progettare. In secondo luogo, sarebbe più corrette fonderle insieme nel concetto di performance: il comportamento di un aereo deve sempre rispettare i requisiti di progetto e rispondere in maniera corretta al pilota.
Se avete apprezzato l’articolo sulla stabilità e manovrabilità di un aereo, dovrete amare quello sul nemico naturale dei velivoli: la resistenza aerodinamica.
A cura di Riccardo Musazzi.