NASA, dallo Spazio si potranno prevedere le eruzioni vulcaniche | Più una zona diventa verde più alto è il rischio

Eruzione vulcanica e NASA (Canva-Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it
Allo studio un innovativo e sorprendente sistema per individuare preventivamente l’attività eruttiva dei vulcani
Le eruzioni vulcaniche rappresentano la più impattante ed imprevedibile attività di un vulcano. Consistono nella fuoriuscita di magma e vari materiali attraverso il cratere o le spaccature dello stesso.
Nelle profondità terrestri, all’interno della camera magmatica sotterranea, l’elevata pressione porta il magma, roccia fusa, ad infrangere la crosta terrestre, portando al processo eruttivo.
Generalmente gli esperti si trovano a fare i conti con eruzioni effusive, ossia caratterizzate dalla presenza di colate di lava che emergono in superficie in modo molto lento, mentre, in situazioni di maggiore rischio, potrebbero verificarsi eruzioni esplosive.
Come il nome stesso ci suggerisce, in questa specifica circostanza i materiali, quali cenere e lapilli, vengono emessi in modo potenzialmente più distruttivo, data la rapidità dell’azione.
Un metodo totalmente innovativo
Se sulla superficie terrestre le attività di studio e di approfondimento dei vulcani hanno sempre richiesto strumenti estremamente specifici, esponendo anche gli esperti a rischi e pericoli nel corso delle esplorazioni, è notizia delle ultime settimane quella che riguarda un approccio del tutto innovativo e privo di rischi, che potrebbe mutare diametralmente lo svolgimento del lavoro dei geo-vulcanologi. A diffonderlo sono la celebre NASA e la Smithsonian Institution, con la quale è già noto un percorso di stretta e profittevole collaborazione.
Il metodo indicato sarebbe quello di osservare come mutano le foglie degli alberi cresciuti nelle immediate vicinanze dei vulcani, che sarebbero, si ipotizza, in grado di far emergere specifici indizi relativi all’attività sotterranea degli stessi vulcani, così da poterne prevedere un’attività eruttiva. Infatti, il processo di risalita del magma verso la superficie comporta la dispersione di numerosi gas, tra l’anidride solforosa e l’anidride carbonica. Quest’ultima, nello specifico, viene assorbita dalle piante site nelle immediate vicinanze del cratere, mutando il proprio aspetto: a seguito dell’assorbimento, infatti, le foglie presentano un colore verde più intenso e risultano essere maggiormente rigogliose.
Lo svolgimento pratico e gli eventuali ostacoli
Come tenere traccia, dunque, dei cambiamenti che riguardano l’aspetto delle foglie? Mediante il tracciamento della loro evoluzione, effettuando immagini satellitari, avvalendosi di strumenti come i Landsat 8 della NASA o il Sentinel-2 della ESA, e confrontando le catture nel tempo, in modo da evidenziare eventuali mutamenti. E nonostante sia molto difficile rilevare la presenza di CO2 direttamente dallo Spazio, lanciare un “allarme” e procedere con i rilevamenti sul campo rappresenta davvero un’alternativa maggiormente fruibile, poco rischiosa, ma altrettanto efficace.
A testimonianza di ciò, il lavoro di esperti, come la vulcanologa Nicole Guinn, che si è occupata del monitoraggio dell’Etna, o del climatologo John Fisher, che si è dedicato all’approfondimento del Rincon de la Vieja, vulcano sito in Costa Rica. Tuttavia, è importante anche sottolineare quelli che, inevitabilmente, sono i limiti di un simile approccio: bisogna tenere conto del fatto che non tutti i vulcani del globo presentano una presenza floristica sufficiente nelle proprie vicinanze per procedere a simili esami, ma anche il fatto che le precipitazioni o le malattie che colpiscono le piante possano compromettere i dati catturati.