L’Universo è sempre stato ripreso in tanti modi, eppure non abbiamo mai avuto un’immagine ad alta risoluzione di una galassia.
Che le galassie siano affascinanti è ormai un dato di fatto. Ma stavolta, gli astronomi si sono superati: hanno ottenuto l’immagine più dettagliata mai vista della Galassia dello Scultore, e lo hanno fatto usando migliaia di colori. Il risultato? Un mosaico che lascia senza fiato, con dettagli così minuziosi da restituire quasi la sensazione di “toccare” le regioni dove nascono le stelle. E tutto questo grazie al MUSE, uno strumento montato sul Very Large Telescope (VLT) dell’ESO, in Cile.
La Galassia dello Scultore, nota anche come NGC 253, non è proprio dietro l’angolo, ma è abbastanza vicina da poterci svelare i suoi segreti. Si trova a circa 11 milioni di anni luce dalla Terra e, con i suoi 90.000 anni luce di diametro, rientra tra le galassie a spirale di tipo starburst, cioè con una vivace attività di formazione stellare. Come ha spiegato Enrico Congiu dell’Universidad de Chile, NGC 253 si trova in una sorta di “zona perfetta”: abbastanza vicina per osservare i dettagli interni, ma anche sufficientemente estesa da poterla studiare nel suo insieme.
L’immagine è stata costruita con un paziente lavoro durato 50 ore: ben 100 esposizioni, combinate per coprire 65.000 anni luce della galassia. Una fatica che ha ripagato. Perché, oltre a catturare l’estetica ipnotica di NGC 253, l’immagine svela anche come si muove il gas, dove nascono le stelle e perfino il comportamento del buco nero al centro della galassia.
Uno degli aspetti più impressionanti di questo progetto è la quantità di dati raccolti: parliamo di milioni di spettri, ciascuno registrato con una risoluzione fisica di circa 15 parsec. In pratica, si riescono a osservare singole regioni di formazione stellare, quasi alla scala delle singole stelle. E non è un’esagerazione: solo grazie a questi dati è stato possibile individuare qualcosa come 500 nuove nebulose planetarie. Un numero davvero fuori scala.
Il vero protagonista di questa impresa è il MUSE, lo spettrografo del VLT, che ha permesso di creare un gigantesco mosaico da 103 punti d’osservazione. Quello che si è ottenuto è qualcosa di mai visto prima: un’immagine ad altissima risoluzione che mostra la galassia a tutto tondo. Dai bracci a spirale fino al nucleo, è possibile zoomare per osservare aree piccolissime, oppure allargare lo sguardo per apprezzare l’intera struttura.
Nella composizione finale, che usa falsi colori per rappresentare diverse lunghezze d’onda, si possono distinguere emissioni di idrogeno, ossigeno, zolfo e azoto. Le zone rosa, ad esempio, segnalano regioni in cui il gas è eccitato dalla luce delle stelle appena nate. C’è poi un cono biancastro che parte dal centro: quello è un flusso di gas che viene sparato fuori dal buco nero supermassiccio al cuore della galassia. Un dettaglio non solo bello da vedere, ma anche fondamentale per capire come questi giganti influenzano l’ambiente galattico.
La scoperta delle circa 500 nebulose planetarie è un risultato notevole. Questi oggetti, che non hanno nulla a che fare con i pianeti (nonostante il nome), sono i resti “soffiati via” da stelle simili al Sole quando terminano il loro ciclo vitale. E trovarli al di fuori della nostra galassia è raro. Di solito, ci si ferma sotto quota 100 per galassia. Stavolta, invece, i ricercatori hanno potuto costruire una vera e propria funzione di luminosità delle nebulose planetarie (PNLF) e stimare una nuova distanza per NGC 253. Il valore ottenuto – 4,10 ± 0,07 milioni di parsec – risulta circa il 17% più alto rispetto alle stime precedenti basate sul metodo TRGB (Tip of the Red Giant Branch), che si aggiravano intorno ai 3,5 Mpc (Congiu et al., 2025; Scheuermann et al., 2022). E questa differenza ha acceso un bel dibattito.
La spiegazione più probabile sembra essere la presenza massiccia di polvere nella galassia, che altera la luminosità osservata delle nebulose. L’estinzione media è stimata in E(B−V) ≈ 0,36 mag, ma in alcune zone vicino al centro si arriva a picchi superiori a 6 mag. In parole povere: tanta polvere = tanta luce “rubata”. La conclusione di tutto questo è piuttosto chiara: il metodo PNLF, pur essendo molto utile in certi contesti, non è affidabile per NGC 253, almeno non senza considerare attentamente l’estinzione. Anzi, questo studio dimostra quanto sia fondamentale tener conto della polvere, soprattutto quando si osservano galassie molto inclinate o particolarmente ricche di gas e polveri come questa. Per raffinare questi metodi, serviranno più galassie di confronto, osservate con la stessa cura. E magari con un po’ meno… nebbia interstellare (Fonte: Congiu et al., 2025).