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Sulla Luna si mangerà italiano | Gli astronauti coltiveranno questo cereale: l’asse Roma – Milano fa arrossire la NASA

L'Italia alla conquista della Luna

L'Italia alla conquista della Luna (Canva-Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it

Possibile svolta in vista in tema di “alimentazione lunare”. Il cibo italiano potrebbe rappresentare l’elemento di sopravvivenza degli astronauti

La prossima ambiziosa meta che l’uomo ha in mente di perseguire, dopo aver già raggiunto la Luna per la prima volta nel 1969, grazie al successo ottenuto nella Missione Apollo 11, riguarda lo stabilimento di una colonia umana stabile sul satellite.

Il ritorno dell’essere umano sul satellite naturale della Terra non appare soltanto come una fantasia o un’illusione. Pensate che correntemente, la NASA sta collaborando con l’europea ESA e con la nipponica JAXA nell’ambito del programma Artemis.

Si tratta di una missione che mira a condurre la prima donna a posare il proprio piede sul suolo lunare, prima di favorire una presenza umana sempre più frequente, fino a divenire costante, sul territorio lunare, fortemente ostile per l’essere umano.

La volontà, uno step dopo l’altro, è quella di costruire una base permanente che possa rappresentare un futuro punto di attracco o di scalo, come un vero e proprio aeroporto cosmico, così da facilitare lo svolgimento di missioni verso le aree più in profondità dello Spazio.

Una proposta intrigante

Questo obiettivo potrebbe non restare relegato unicamente ai fumetti fantascientifici, grazie agli enormi passi e al macroscopico progresso che la comunità scientifica e aerospaziale si sono rivelate in grado di compiere con il passare degli anni, ma forse addirittura dei mesi. Sfide complesse quelle che l’essere umano è chiamato a risolvere e superare per poter rendere possibile ciò che fino ad appena tre decenni fa appariva irraggiungibile. Tra queste, la più ardua, vista l’importanza che la stessa ricopre, riguarda la modalità più adeguata per permettere agli astronauti in orbita di nutrirsi nel corso delle missioni, le stesse che, si auspica in un futuro già prossimo, potranno avere durata fino ad una decade o oltre.

Ed ecco spuntare la soluzione potenzialmente più efficace di tutte, che parte direttamente dall’Italia, promotrice del programma “Moon-Rice“, fortemente voluto proprio dalla nostrana ASI (Agenzia Spaziale Italiana). Sviluppare un programma così audace potrà essere possibile solo potendo contare sulla collaborazione di eccellenze accademiche della nostra Penisola, come l’Università Statale, con sede a Milano, l’Università della Sapienza, di Roma, e la napoletana Università Federico II, che hanno immediatamente messo a servizio le proprie competenze ed esperienze nell’ambito del raggiungimento dell’obiettivo disposto.

Pianta di riso terrestre
Pianta di riso terrestre (Depositphotos foto) – www.aerospacecue.it

Quali risultati ci consegnano le sperimentazioni?

I primi risvolti raggiunti, secondo quanto reso pubblico dall’ASI nel corso di una recente conferenza, sembrerebbero già particolarmente incoraggianti. Ma in cosa consiste l’idea proposta? La stessa si baserebbe sulla creazione di colture di una specifica varietà di riso, in grado di crescere, e dunque di adattarsi, anche affrontando e superando le estreme condizioni spaziali. In questo ulteriore obiettivo nell’obiettivo potrà di certo rivelarsi determinante la tecnica CRISPR, attualmente tra le mani dei ricercatori provenienti dall’Università di Milano, il cui impiego dovrà rivelarsi determinante al fine di isolare mutanti di riso definiti colture nane, ossia di altezza inferiore a dieci centimetri di altezza.

Contemporaneamente l’Università della Sapienza e il suo team di ricerca si trova impegnata a scandagliare il genoma del riso al fine di massimizzare la resistenza del chicco e dunque favorendo la sua crescita anche all’interno di spazi ristretti. Parallelamente, l’Università Federico II di Napoli ha messo a disposizione una serie di macchinari in grado di simulare la microgravità, cercando di comprendere quale effetto un ambiente analogo a quello spaziale e lunare sarebbe in grado di produrre sulle colture: una soluzione assolutamente efficiente e utile, che permette, però, di aggirare gli esosi costi di un’eventuale sperimentazione direttamente sul campo. A riportarlo è l’ASI.