Sole, la teoria più strampalata contro il cambiamento climatico | Per questo signore bisogna nasconderlo per sempre

Il progetto per spegnere il sole (Freepik Foto) - www.aerospacecue.it
Nella storia della scienza, le idee più controverse nascono quasi sempre da un conflitto tra necessità e prudenza.
Alcune propongono soluzioni audaci per problemi globali, altre si spingono talmente oltre da sembrare uscite da un romanzo distopico.
Oggi la tecnologia avanza a un ritmo tale da trasformare concetti teorici in prototipi reali in tempi record. Questo significa che la fase di analisi e dibattito spesso non riesce a stare al passo con i progetti stessi, lasciando molte questioni etiche e di sicurezza aperte.
Quando a guidare queste iniziative non sono istituzioni pubbliche ma entità private, entrano in gioco variabili complesse: interessi economici, strategie geopolitiche, e la possibilità di monopolizzare tecnologie di impatto globale.
In questo scenario, un’invenzione capace di influenzare processi planetari non è soltanto un’innovazione scientifica, ma anche un potenziale strumento di potere, con conseguenze che vanno ben oltre il laboratorio.
Una tecnologia che punta in alto
Nel 2023 nasce una startup registrata negli Stati Uniti ma con sede in Israele, chiamata Stardust. La sua missione dichiarata: sviluppare e brevettare un sistema capace di raffreddare la Terra in modo controllato, contrastando gli effetti del cambiamento climatico. Il progetto è guidato da Yanai Yedvab, dirigente dell’Autorità per l’Energia Atomica israeliana.
Il cuore della tecnologia è il rilascio mirato di particelle riflettenti nella stratosfera, con l’obiettivo di ridurre temporaneamente la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie terrestre. È un’ispirazione diretta ai grandi eventi vulcanici, che hanno dimostrato di poter abbassare le temperature globali per mesi o anni.
Dalla teoria alla pratica
A differenza di precedenti esperimenti con composti solfatici — notoriamente rischiosi per l’ozono e per l’equilibrio climatico — Stardust dichiara di utilizzare particelle non solfatiche, che dovrebbero essere più sicure ed efficienti. Tuttavia, non ha ancora reso pubblici i dati dei test sul campo già avviati.
Questa mancanza di trasparenza ha attirato critiche da parte della comunità scientifica e persino dell’ONU: un rapporto del diplomatico Janos Pasztor ha invitato l’azienda a condividere i risultati e a rispettare principi etici chiari. Restano timori su effetti collaterali come l’alterazione dei monsoni asiatici, la modifica di modelli meteorologici globali e possibili danni allo strato di ozono.
Un rischio oltre il laboratorio
Il progetto è finanziato principalmente da Awz Ventures, fondo canadese-israeliano con collegamenti a ex dirigenti del Mossad e della CIA. Questo legame alimenta sospetti sul potenziale uso della tecnologia in contesti geopolitici, oltre alla preoccupazione per un eventuale monopolio climatico privato.
Ad aggravare il quadro c’è il vuoto normativo internazionale: oggi non esiste alcuna legge globale che impedisca a una singola azienda di intervenire sul clima terrestre. La politica, ancora una volta, insegue la scienza con il fiato corto, mentre il confine tra soluzione e pericolo resta sottile.