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Otto giorni sono diventati nove mesi | Questi astronauti hanno trascorso momenti di terrore e il peggio deve ancora venire

Starliner (NASA foto) - www.aerospacecue.it

Starliner (NASA foto) - www.aerospacecue.it

Otto giorni che dovevano essere una formalità si sono trasformati in un’odissea spaziale lunga nove mesi per questi astronauti.

Quando si parla di missioni nello spazio, c’è sempre quell’elemento di incognita che, anche se previsto, riesce comunque a sorprenderti. Tutto programmato al millimetro, eppure basta un imprevisto — un guasto, una valutazione sbagliata — per far saltare i piani. Non è solo tecnologia futuristica: è anche resistenza mentale, capacità di adattarsi e, sì, anche un po’ di fortuna.

Otto giorni. Otto. Una settimana e poco più, quasi una toccata e fuga là sopra. E invece… le cose non sono andate proprio come previsto. Quando il tempo si allunga così, quando i giorni diventano settimane, poi mesi… beh, cambia tutto. L’equipaggio si ritrova a ridefinire il proprio quotidiano, a trovare nuovi equilibri, a vivere lo spazio non più come missione breve ma come casa, temporanea certo, ma pur sempre casa.

La vita in orbita è fatta di silenzi, abitudini, rituali piccoli che tengono insieme la mente. Mantenere la lucidità non è scontato, soprattutto se ti dicono che il rientro si rimanda, di nuovo. E poi ancora. Festeggiare il Natale con un cappello da Babbo Natale mentre fluttui in una stazione spaziale può sembrare carino a chi guarda da fuori, ma ha anche un lato malinconico. È lì che il gruppo diventa famiglia.

Certo, ci sono i momenti spettacolari, quelli che finiscono nelle foto ufficiali. Ma ogni giorno vissuto lassù è anche una piccola battaglia contro l’inatteso. Sei sospeso, letteralmente e metaforicamente, in un ambiente dove ogni scelta va ponderata. E quando capisci che tornerai solo dopo mesi… be’, lo stomaco fa un giro su sé stesso.

Una scelta complicata, un’attesa infinita

Come riporta anche Tom’s Hardware, la missione era iniziata come un semplice test: otto giorni a bordo della Starliner della Boeing, tutto sotto controllo. Ma già nelle prime ore qualcosa non tornava. I problemi tecnici, che all’inizio sembravano gestibili, sono diventati seri e il rientro… troppo rischioso. La NASA ha fatto quello che doveva: prendere tempo, aspettare un’opzione più sicura.

Nel frattempo Wilmore e Williams, insieme all’equipaggio, hanno continuato a lavorare sulla ISS. Esperimenti, attività extraveicolari, turni — la solita routine, ma con un finale indefinito. Alla fine, dopo mesi, una navetta SpaceX ha avuto due posti liberi. Ed è stata quella la chiave per tornare a casa. Un ritorno che sembrava non arrivare mai.

Starliner in orbita (NASA foto) - www.aerospacecue.it
Starliner in orbita (NASA foto) – www.aerospacecue.it

Atterraggio, barelle e la voglia di rimettere piede a terra

Il 19 marzo, finalmente, sono rientrati. Dopo 17 ore di viaggio — estenuanti — Butch Wilmore, Suni Williams, Nick Hague e il cosmonauta Aleksandr Gorbunov sono atterrati al largo della Florida. E sì, pure i delfini sono venuti a salutarli. Una scena da film, anche se la realtà era molto più stancante: appena usciti dalla capsula, li hanno messi su barelle. Normale, dopo tanto tempo senza gravità.

Per Williams non è stato solo un ritorno: ha battuto un record storico per le ore di attività extraveicolare femminile. Ma a quel punto contava solo una cosa: “sentire di nuovo la Terra”, ha detto. Il corpo ora dovrà riprendersi — ossa, muscoli, vista… tutto va ricalibrato. Ma la mente, quella, si porterà dietro qualcosa che non si dimentica. Ah, giusto: la NASA ha tenuto a precisare che non sono mai stati in pericolo. Precauzioni sempre pronte, nessun allarme.