Quattro corpi alieni ancora alla ricerca della verità | Dopo quasi 80 anni il mistero si infittisce

Autopsia aliena (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it
Dopo decenni di teorie e silenzi, emergono nuovi indizi su uno dei misteri più discussi del secolo scorso.
Nel bel mezzo del deserto del New Mexico, c’è un pezzetto di terra che da quasi ottant’anni fa parlare mezzo mondo. Col tempo, la storia ha smesso di essere solo un racconto e si è trasformata in un enigma, pieno di silenzi ufficiali, testimonianze discordanti e strane fotografie in bianco e nero.
Ecco, ogni volta che sembra venire fuori una risposta, spuntano altri dettagli che complicano tutto. O peggio: qualcosa di apparentemente insignificante che ribalta la versione “ufficiale”. E così, chi ci crede e chi no si scontrano ancora oggi, con la sensazione che qualcosa di grosso, all’epoca, sia davvero successo — ma sia stato messo a tacere con cura.
Nel frattempo, Roswell è diventata molto più che un luogo: è quasi un’icona. Un simbolo di quanto poco ci si possa fidare dei comunicati militari e dei “chiarimenti” governativi, soprattutto quando ci sono contraddizioni che non tornano. Forse non sapremo mai cosa è andato storto nel 1947, ma il fatto che se ne parli ancora è già, di per sé, molto significativo.
E poi, diciamolo: come può un episodio così lontano nel tempo, con protagonisti ormai scomparsi, continuare a far discutere così tanto? Forse perché in fondo nessuno si è mai fidato davvero della versione dei fatti diffusa all’epoca. E oggi, tra nuove tecnologie e vecchie immagini rivalutate, spunta qualcosa che potrebbe cambiare le carte in tavola.
Un vecchio scatto e un dettaglio sfuggito
Tra le tante storie su Roswell, ce n’è una che negli ultimi tempi è tornata a fare rumore. Riguarda una foto, scattata nel ’47, in cui si vede il generale Roger Ramey con alcuni frammenti metallici. Ma il punto non è quello. Il dettaglio interessante è il foglio che tiene in mano, quasi nascosto, ma visibile quel tanto che basta. Secondo l’ufologo Kevin Randle — uno dei più esperti sul caso — quel documento potrebbe contenere le parole “victims of the wreck”, cioè “vittime dello schianto”. Se fosse vero, cambierebbe parecchio.
Randle sostiene che, dopo decenni di studi e interviste, tutte le spiegazioni “normali” sono da scartare. Lui dice proprio così: “Abbiamo eliminato ogni possibilità terrestre”. E non lo dice a caso: ha parlato con centinaia di testimoni, ha analizzato foto, documenti, tutto. E quel memo, secondo lui, potrebbe davvero essere la chiave per sbloccare l’intera vicenda.
Parole mai dette, segreti mai confessati
Il colpo di scena, però, arriva da chi ha vissuto la storia da dentro. Walter Haut, il responsabile delle comunicazioni della base militare, lasciò una dichiarazione scritta da rendere pubblica solo dopo la sua morte. In quel testo — firmato — conferma di aver visto il relitto, ma anche i corpi. Parlava di un oggetto ovale, circa 7-8 metri di diametro, e ammetteva che non si trattava di niente di terrestre.
Anche sua figlia, Julie Shuster, ha raccontato che il padre non ha mai negato di aver scritto il primo comunicato sul “disco volante”. Diceva sempre e solo quello. Mai una parola in più, anche se — col tempo — si capiva che sapeva molto di più. Ah, e poi c’è pure un ex vicesceriffo texano, Charles Forgus, che ha detto (anzi, giurato) di aver visto quattro piccoli corpi con pelle marrone e occhi enormi, caricati su un mezzo militare con una gru. Insomma, la versione ufficiale vacilla ancora.