Le montagne più alte al mondo nascondevano un grosso segreto | Finalmente è stato svelato: ecco perché sono così stabili nonostante l’altezza enorme

L'Himalaya (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it
Una scoperta recente ed intrigante mette in crisi vecchie certezze sul “peso” delle montagne più alte del pianeta.
Chi guarda l’Himalaya resta spesso a bocca aperta. Le sue cime innevate sembrano immobili, eterne. Ma sotto quella bellezza glaciale si nasconde qualcosa di molto più dinamico di quanto si pensasse. Queste montagne non sono solo spettacolari colossi di roccia, ma anche il punto d’incontro di forze geologiche che, da milioni di anni, spingono e strattonano la crosta terrestre in modi che ancora oggi sorprendono.
Per tanto tempo si è creduto che tutto fosse spiegabile con una teoria piuttosto semplice. Due placche che si scontrano, la crosta si piega, si raddoppia, e boom: nascono le montagne. Fine della storia. Ma non proprio. Alcuni geologi avevano già notato che i conti non tornavano del tutto. Troppa fiducia in un modello centenario aveva messo un po’ da parte dati che sembravano “strani”. O forse solo troppo scomodi.
Negli ultimi anni però, grazie a nuove tecnologie e simulazioni molto più accurate, qualcosa ha iniziato a scricchiolare (ehm, metaforicamente). I dati raccolti indicavano che la struttura sotto queste montagne non era esattamente quella che si credeva. C’erano anomalie, segnali sismici fuori posto, insomma… delle incongruenze che hanno spinto alcuni scienziati a guardare tutto da un’altra angolazione.
Ed è così che, poco a poco, si è fatta strada un’idea diversa. Una teoria alternativa, costruita pezzo per pezzo. E che, per la prima volta, riesce a dare un senso a quelle stranezze che finora erano state liquidate con un “mah, sarà un caso”.
Una nuova ipotesi che cambia le carte in tavola
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Tectonics e riportato da Live Science, l’intera teoria formulata nel lontano 1924 dal geologo svizzero Émile Argand… be’, potrebbe non reggere più. L’idea che la doppia crosta terrestre fosse sufficiente a spiegare la solidità e l’elevazione dell’Himalaya oggi appare un po’ troppo ottimista.
Guidato dal professor Pietro Sternai, dell’Università di Milano-Bicocca, un gruppo di ricercatori ha messo insieme simulazioni geofisiche e dati sismici reali per arrivare a una conclusione piuttosto netta: la crosta da sola non basta. Il motivo? A certe profondità (intorno ai 40 km) le rocce diventano molli, si sciolgono quasi — lui ha usato il paragone con lo yogurt, per capirci — e sopra qualcosa di così tenero… non ci puoi certo costruire una montagna.
C’è qualcosa lì sotto che non ci aspettavamo
E infatti non è solo crosta, lì sotto. La svolta è stata scoprire, grazie ai modelli numerici, che tra le due croste — quella asiatica e quella indiana — si trova un pezzo di mantello. Una specie di strato nascosto, incastrato nel mezzo, che cambia completamente il quadro. Questo “ripieno” più denso e rigido funge da colonna portante: dà forza e stabilità all’intera struttura montuosa.
Questa nuova configurazione — crosta, mantello, crosta — non solo spiega perché l’Himalaya è così alto, ma anche come faccia a restare in piedi senza crollare su sé stesso. Il modello riesce a dare coerenza a una serie di dati geologici che fino a ieri sembravano solo… boh, eccezioni inspiegabili. E finalmente, come ha detto uno dei ricercatori coinvolti, “ora le cose iniziano ad avere un senso”.