Con l’orbita terrestre sempre più affollata da satelliti dismessi e detriti spaziali, la comunità scientifica propone un nuovo modello.
Un modello di sostenibilità per le attività spaziali: ridurre, riutilizzare e riciclare. Un’economia spaziale circolare per proteggere il futuro dell’esplorazione oltre l’atmosfera.
Negli ultimi decenni, l’orbita terrestre bassa si è popolata rapidamente di satelliti, razzi esausti e frammenti di ogni tipo. Ogni nuovo lancio non solo aggiunge materiali preziosi difficilmente recuperabili, ma rilascia anche gas serra e sostanze chimiche che danneggiano lo strato di ozono. Il problema è destinato a peggiorare con la crescita esponenziale delle missioni commerciali e istituzionali, dai mega-satelliti per le comunicazioni fino ai progetti di colonizzazione lunare e marziana.
La proposta avanzata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Surrey, guidati dal chimico Jin Xuan, pubblicata sulla rivista Chem Circularity, mira a ripensare radicalmente l’intero ecosistema spaziale attraverso l’adozione di una economia circolare. Un approccio già noto in settori come quello dell’automotive o dell’elettronica di consumo, ma finora mai pienamente applicato al contesto spaziale.
“Mentre le attività spaziali accelerano, dobbiamo evitare di ripetere gli errori commessi sulla Terra,” afferma Xuan. “Una vera sostenibilità nello spazio inizia con tecnologie, materiali e sistemi progettati per funzionare insieme.”
Il principio di base è semplice: costruire, utilizzare e gestire satelliti, razzi e stazioni spaziali in modo che possano essere riparati, riutilizzati o riciclati – invece di abbandonarli nell’orbita, come avviene ancora oggi.
Alla base dell’economia spaziale circolare ci sono le classiche 3 R:
Un esempio interessante è la trasformazione delle stazioni spaziali in hub multifunzione: punti di rifornimento, officine per riparazioni o addirittura mini-fabbriche per stampare in 3D nuovi componenti, riducendo i costi e le emissioni dei lanci dalla Terra.
Molti satelliti dismessi vengono spostati in orbite cimitero, ma la maggior parte resta in orbita operativa, dove rappresentano un pericolo per le missioni attive. Le collisioni tra detriti possono generare nuove migliaia di frammenti, innescando reazioni a catena potenzialmente devastanti (il famoso effetto Kessler).
La mancanza di standard condivisi per il fine vita dei veicoli spaziali rende difficile prevenire questa escalation. Secondo i ricercatori, è fondamentale progettare satelliti fin dall’inizio con la prospettiva del riutilizzo o della disattivazione controllata.
L’articolo propone un cambiamento di paradigma che va oltre il singolo satellite o razzo: è l’intero sistema spaziale a dover diventare sostenibile. Ciò include:
I ricercatori sottolineano inoltre la necessità di collaborazione internazionale: occorrono quadri normativi condivisi che incentivino il recupero dei materiali e penalizzino l’abbandono in orbita.
Un’altra proposta chiave riguarda l’utilizzo di strumenti digitali per raccogliere dati in tempo reale da satelliti e stazioni. Questi dati potrebbero guidare le scelte progettuali e ridurre gli sprechi attraverso simulazioni e test virtuali. Inoltre, le reti neurali e i modelli predittivi potrebbero essere impiegati per prevedere i guasti e ottimizzare le missioni, riducendo la necessità di sostituzioni premature.
Le attività spaziali del prossimo secolo saranno sempre più frequenti, complesse e strategiche. Se vogliamo evitare che l’orbita terrestre diventi inutilizzabile, è essenziale adottare un approccio più responsabile e lungimirante. L’economia spaziale circolare non è solo un’idea etica o ecologica, ma una necessità tecnica e operativa per garantire il successo delle missioni future.
Come sottolinea Xuan, “Dobbiamo collegare chimica, ingegneria e governance per trasformare la sostenibilità nella norma, e non in un’eccezione.”