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Gli scienziati a caccia di alieni per un anno | Scoperto chi ha inviato quei messaggi così forti: non potevano credere ai loro occhi

Tracce aliene

Tracce aliene? (Canva-Freepik foto) - www.aerospacecue.it

Prosegue l’intenzione da parte della comunità di scovare gli extraterrestri nascosti nel cosmo. Una nuova prova schiacciante è stata raggiunta?

Il concetto di caccia agli alieni, relativo alla possibile esistenza di forme di vita extraterrestri site su mondi lontani e nascosti, affascina da sempre non solo l’intera comunità astronomica, ma probabilmente l’umanità nella sua totalità.

Sebbene questo tema ci sia sempre parso come un argomento in merito al quale l’effettiva verità fosse impossibile da raggiungere, relegando le spiegazioni a libri e film fantascientifici, gli esperti sono più attivi che mai nella “caccia“.

In che modo? Attraverso la messa in pratica di progetti quali il SETI, acronimo di Search for Extraterrestrial Intelligence, che si concentra sull’ascolto dei segnali radio provenienti dallo Spazio, oppure dalla spedizione in orbita di telescopi come il James Webb, alla ricerca di pianeti analoghi alla Terra, potenzialmente capaci di ospitare vita al loro interno.

Pensate, addirittura, che nei documenti ufficiali di alcuni governi è stata ufficialmente introdotta la dicitura UAP, che sta per Unidentified Anomalous Phenomena, Fenomeno Anomalo Non Identificato, in riferimento a UFO e simili oggetti manifestantisi nei cieli.

Insoliti avvistamenti

Numerosi cittadini provenienti da differenti latitudini del mondo hanno segnalato la possibilità di essere entrati in contatto con probabili tecnologie aliene, la maggior parte delle quali, si presume, calcanti i cieli sopra le nostre teste. C’è chi sostiene che ciò sia avvenuto per spiarci più da vicino, chi per mettere in atto veri e propri rapimenti, ma la realtà, almeno fino a quanto la comunità scientifica sia riuscita a racimolare sino ad ora, appare ben diversa.

Pensate che gli Stati Uniti d’America, visto il ricevimento di un numero di segnalazioni così elevate circa l’avvenimento o l’individuazione di fenomeni aerei non ben identificabili, si sono mobilitati con la creazione di uno specifica branca del Pentagono, ossia l’AARO, che si occupa di indagare proprio in merito. Nel corso dei suoi circa 3 anni di attività sono state migliaia le segnalazioni ricevute, la maggior parte delle quali facilmente spiegabili, data la presenza di satelliti o simili tecnologie, mentre altre restano ancora oggi avvolte nel totale mistero.

Relay 2
Illustrazione del Relay 2 (NASA foto) – www.aerospacecue.it

A cosa hanno condotto gli approfondimenti recenti?

Le indagini relativamente ad un misterioso impulso proveniente dallo Spazio profondo hanno finalmente consegnato alla comunità le risposte che cercavano. 30 nanosecondi di FRB, sigla con la quale è conosciuto il lampo radio veloce, sono stati sufficienti a permettere all’Australian Squadre Kilometer Array Pathfinder di comprendere l’effettiva natura del segnale, apparentemente considerato da tutti come tentativo da parte degli extraterrestri di mettersi in contatto con la nostra specie. Ma d’altronde, non si tratta mai di un’ipotesi totalmente da scartare; anzi, il lavoro degli scienziati spesso si concentra sul monitoraggio dei segnali provenienti dalle aree più remote dello Spazio proprio al fine di comprendere l’effettiva presenza di civiltà aliene annidate chissà dove nel Cosmo.

Non è stato questo il caso, in quanto i rilevamenti hanno condotto a scoprire che gli stimoli provenienti dalle profondità spaziali provenissero dal fu satellite NASA Relay 2, lanciato dall’agenzia spaziale americana in orbita addirittura nel 1964, che nel corso di addirittura sei decadi non è mai riuscito a fuggire dall’orbita terrestre, dove si trova ancora bloccato. Stiamo, ovviamente, parlando di uno strumento in disuso da molto tempo, in grado però di emettere un segnale, anche particolarmente potente e riconoscibile, non appena lo stesso risultasse passare al di sopra degli strumenti di rilevamento impiegati dai ricercatori. Come riporta il quotidiano britannico The Sun, all’interno dell’articolo pubblicato dal team di ricerca, viene sottolineata l’impossibilità che il satellite sia riuscito a “tornare in vita” improvvisamente, da un momento all’altro; la probabilità ipotizzata, in realtà, attribuirebbe questo comportamento ad un accumulo di energia elettrica statica direttamente sulla navicella, sino a creare un impulso energetico rivolto verso la Terra.