Mariner 4 e le prime immagini della superficie di Marte: 60 anni fa finiva il mito dei marziani

Illustrazione di un Mariner (Wikipedia NASA FOTO) - aerospacecue.it
Marte viene studiata da decenni in modo approfondito, eppure solo 60 anni fa arrivarono le prime immagini del Pianeta Rosso.
Per gran parte del Novecento, Marte fu teatro di sogni, teorie e immaginazione pura. Percival Lowell, uno degli astronomi più discussi dell’epoca, era convinto che il pianeta fosse attraversato da una rete di canali artificiali, costruiti da una civiltà avanzatissima per distribuire l’acqua dai poli verso l’equatore.
Negli anni Cinquanta, il famoso ingegnere Wernher von Braun pubblicò un ambizioso piano per portare astronauti su Marte, immaginando grandi alianti planare su un’atmosfera che, si pensava, fosse densa circa la metà di quella terrestre. Non era solo fantascienza: era una visione, magari ingenua, ma profondamente sentita. Il pianeta rosso veniva ancora raffigurato come un mondo simile alla Terra, più secco e freddo, ma non troppo distante, né troppo ostile.
All’inizio degli anni Sessanta, però, tutto stava per cambiare. Come riportato dal sito Space, con la nascita della NASA e l’ingresso in scena del Jet Propulsion Laboratory (JPL), l’esplorazione del sistema solare iniziava a farsi concreta. Così nacque la missione Mariner, e con essa una delle più importanti svolte nella storia della scienza planetaria. Il 14 luglio 1965, Mariner 4 passò a meno di 10.000 km da Marte e ne fotografò per la prima volta la superficie da vicino.
Quelle 22 immagini, grezze e in bianco e nero, raccontarono una verità dura e inaspettata: Marte non era la “Terra 2” che tanti avevano sognato. Non c’erano canali, né città nascoste. Solo un paesaggio lunare, spoglio e craterizzato.
Il viaggio che non doveva nemmeno partire
Come riportato da Space, Mariner 4 non era nemmeno la prima scelta. La sua gemella, Mariner 3, era stata lanciata a novembre del ’64, ma un guasto al razzo l’aveva lasciata alla deriva, incapace di aprire i pannelli solari. Finì nel vuoto, spenta e irrecuperabile. Con una rapidità impressionante per l’epoca, gli ingegneri risolsero il problema e, solo tre settimane dopo, riuscirono a lanciare Mariner 4 con successo. Nessuno, però, era davvero sicuro che sarebbe arrivata a destinazione.
Il viaggio fu pieno di imprevisti. Il sistema di guida, che doveva orientarsi sulla stella Canopo, si confuse a causa di riflessi e detriti. Alla fine, riuscì comunque a stabilizzarsi e a proseguire. Una curiosità: all’inizio, la sonda non doveva nemmeno avere una fotocamera. Fu Robert Leighton a insistere: le immagini, disse, avrebbero reso la missione comprensibile anche a chi non parlava il linguaggio dei dati tecnici. Aveva ragione. Quando il 14 luglio 1965 la sonda si attivò, la videocamera iniziò a registrare. Le foto vennero trasmesse solo ore dopo, ma l’attesa non fu vana.
Il sogno finisce, ma…
Le prime immagini arrivarono a terra sotto forma di numeri, stampati su lunghe strisce di carta. Come riportato da Space, l’equipe al JPL, impaziente, le colorò a mano con i pastelli, costruendo una specie di mosaico fatto di numeri e intuizioni. Poco dopo, i computer completarono il lavoro, trasformando quei dati in vere fotografie. E il risultato fu spiazzante: Marte era un deserto freddo, disseminato di crateri, con un’atmosfera così rarefatta da rendere impossibile qualsiasi forma di vita come la conosciamo.
Il colpo finale arrivò quando la sonda, ormai in uscita, attraversò l’atmosfera marziana con il suo segnale radio: la densità rilevata era pari a un centesimo di quella terrestre. Tutte le teorie precedenti crollarono. Ma per gli scienziati del Caltech e della NASA non fu una sconfitta. Fu una scoperta. Per la prima volta, un altro pianeta si era rivelato in modo chiaro e concreto. Mariner 4 continuò a inviare dati per altri due anni, prima di spegnersi nel dicembre ’67.