Vita sulla Terra, dipende da alcune Galassie quasi invisibili | Se non ci fossero saremmo morti tutti da un pezzo

Galassie nell'universo (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it
Quelle galassie microscopiche che hanno riscritto il destino dell’universo e reso possibile la nascita della vita sulla Terra.
Di solito quando si parla di spazio, ci vengono in mente cose gigantesche: buchi neri enormi, supernovae spettacolari, galassie grandi milioni di anni luce. Eppure, a volte sono le cose più piccole a fare il lavoro più grande. Strano a dirsi, ma certe presenze minuscole là fuori potrebbero aver avuto un impatto decisivo su come l’universo è diventato quello che conosciamo oggi. Quasi invisibili, eppure fondamentali.
Ogni volta che osserviamo il cielo notturno, stiamo in realtà guardando indietro nel tempo. I segnali luminosi che ci arrivano – be’, almeno quelli che i nostri strumenti riescono a rilevare – raccontano storie vecchie di miliardi di anni. E tra queste storie ce n’è una, in particolare, che gli astronomi cercano di ricostruire da decenni: un momento in cui qualcosa è cambiato per sempre, ma nessuno sapeva bene come e grazie a chi. O a cosa.
Non è una questione da scienziati e basta, anzi. Capire quella fase misteriosa – una specie di svolta nell’infanzia dell’universo – ci aiuta a comprendere come si è formata la realtà che abbiamo intorno: stelle, pianeti, galassie… noi stessi. Insomma, un bel pezzo della nostra identità cosmica è legato a qualcosa che accadde miliardi di anni fa e che fino a poco tempo fa ci sfuggiva completamente.
E sai cos’è? Queste entità responsabili, che per tanto tempo sono rimaste nell’ombra (letteralmente), non erano affatto facili da beccare. Non erano enormi, non brillavano come ci si potrebbe aspettare. Però adesso, grazie a strumenti pazzeschi, riusciamo finalmente a scorgerle. E quello che stanno rivelando è, sinceramente, pazzesco.
Quando il telescopio ti mostra l’invisibile
Il grande protagonista di questa scoperta è il telescopio spaziale James Webb, come riporta Libero Tecnologia. Grazie alla sua tecnologia, e a un aiutino da un ammasso di galassie chiamato “Pandora’s Cluster” (il nome vero sarebbe Abell 2744), è riuscito a mostrare qualcosa che nessuno aveva mai visto prima. Un gruppo di 83 galassie minuscole, vecchie di circa 800 milioni di anni dopo il Big Bang. E no, non stavano lì a fare le belle statuine: erano in piena fase di formazione stellare selvaggia.
La ricerca – capitanata da Isak Wold della NASA, usando i dati del progetto Uncover – ha sfruttato le camere a infrarossi del Webb (NirCam e NirSpec, per essere precisi) per vedere oltre l’impossibile. Queste galassie emettevano un sacco di luce ultravioletta, roba sufficiente per influenzare tutto il loro “vicinato” cosmico. E anche molto di più.
La nebbia che scomparve e tutto cambiò
Ora arriva il pezzo davvero incredibile: queste galassie microscopiche sembrano aver avuto un ruolo chiave in un evento chiamato “reionizzazione”. In pratica, nei primi tempi l’universo era avvolto da una specie di nebbione fatto di idrogeno neutro, che bloccava la luce. Poi, piano piano, questa nebbia si è dissolta e la luce ha potuto viaggiare liberamente. Ma chi è stato a causare questa “pulizia”? Beh, per anni si pensava a galassie grandi o a buchi neri potentissimi. E invece, pare che siano state proprio queste piccole galassie starburst.
Grazie alla loro struttura leggera e alle esplosioni di formazione stellare, riuscivano a lasciar uscire facilmente la luce ultravioletta. Anzi, scavavano dei veri e propri “tunnel” attraverso il gas cosmico. James Rhoads, uno degli autori dello studio, ha detto che questo processo ha avuto un impatto decisivo per far diventare l’universo trasparente. A conferma di tutto c’è anche la famosa “green line”, un segnale emesso dall’ossigeno doppiamente ionizzato, che ha permesso di capire con precisione l’età e l’energia di queste galassie.