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La Stazione Spaziale della Nasa sta per andare in pensione nell’Oceano | Ora si ha bisogno di un nuovo avamposto: il problema è il denaro

Stazione Spaziale Internazionale

Stazione Spaziale Internazionale (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it

Una situazione particolarmente intricata, che appare realmente ostica da risolvere. La NASA si trova con l’acqua alla gola

La NASA nell’esecuzione delle missioni e degli esperimenti più audaci ed ambiziosi condotti nel corso degli ultimi decenni ha avuto la possibilità di appoggiarsi alla Stazione Spaziale Internazionale.

Parliamo di un laboratorio scientifico orbitante che presenta una lunghezza pari a circa 73 metri e che compie il proprio viaggio intorno alla Terra posizionandosi a 400 km di distanza in quota, ottenendo energia dai grandi pannelli solari che monta.

La sua costituzione è stata possibile mediante il processo di collaborazione tra la statunitense NASA, come già citato in precedenza, la nipponica JAXA, la canadese CSA, l’europea ESA e la moscovita Roscosmos.

Indispensabile, come accennato, per la conduzione di esperimenti scientifici in microgravità, per procedere all’osservazione del Pianeta Terra, del suo satellite e del Sistema Solare intero direttamente dallo Spazio e per molti altri fini ancora.

Cosa aspettarsi nell’imminente futuro?

La Stazione Spaziale Internazionale si prepara a raggiungere la sua “pensione”. La dismissione è già stata fissata al 2030, quando la stessa compirà un atterraggio controllato nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Si tratta, inevitabilmente, di uno dei periodi più delicati nell’ambito dell’ormai pluridecennale dominio dello Spazio da parte della statunitense NASA e delle agenzie governative ad essa affiliate. Ed è per questo che una personalità di spicco Sean Duffy, incaricato nuovo amministratore ad interim, si trova a dover affrontare una serie di sfide significative che porteranno alla designazione dell’erede o degli eredi della ISS.

In questo momento specifico, ad assumere una posizione di apparente vantaggio sembrano piuttosto le agenzie private, tra le quali spicca SpaceX, la cui collaborazione con l’azienda Vast potrebbe favorire ulteriormente il ruolo di rilievo del gioiello aerospaziale di Elon Musk, a discapito di altri volti iconici quali Voyager Space e Blue Origin, maggiormente impelagate in un processo di ripianificazione delle strategie e di ricollocazione del denaro.

Sean Duffy
Sean Duffy (Shutterstock foto) – www.aerospacecue.it

Costretta ad accontentarsi

Lo scenario che si cela dietro a questa battaglia a distanza è quello che inquadra nelle decisioni iniziali della NASA la volontà di selezionare al massimo due fornitori, sottoscrivendo con questi contratti a prezzo fisso al fine di procedere alla costruzione delle nuove stazioni spaziali. A sconvolgere i piani, però, sarebbe ancora una volta l’aspetto economico, data la mancanza, secondo quanto è possibile apprendere dal documento stilato dallo stesso Sean Duffy, di addirittura 3,7 miliardi di dollari rispetto al totale originariamente pianificato.

Quanto ne consegue, è facile intuirlo, è una forzata alterazione della strategia inizialmente dettata, abbandonando il principio basato sulla sottoscrizione di contratti, in favore dell’estensione di accordi decisamente più flessibili, innanzitutto dal punto di vista delle aziende, potenziando i già presenti “Space Act Agreements“. A riportarlo è ARS Technica.