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Il Sole svela i suoi segreti: scoperta l’origine degli elettroni superveloci grazie a Solar Orbiter

Il Sole da vicino

Il sole rivela i suoi segreti, ecco come Freepik aerospacecue.it

La fisica solare si è a lungo interrogata sull’origine degli elettroni solari energetici (Solar Energetic Electrons, SEE).

Queste vivaci particelle che viaggiano a velocità relativistiche e che rappresentano un elemento cruciale del cosiddetto space weather. La difficoltà principale è sempre stata distinguere tra i meccanismi di accelerazione alla sorgente e gli effetti di propagazione lungo il mezzo interplanetario.

La missione Solar Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), con il supporto della NASA, ha fornito un contributo determinante. Grazie alla sua orbita ellittica che porta la sonda a distanze ridotte dal Sole (inferiori a 0,3 UA), è stato possibile osservare i SEE in uno stato quasi incontaminato, riducendo l’effetto delle dispersioni magnetiche che caratterizzano misurazioni a distanze maggiori (ESA, 2025; Space.com, 2025).

Le osservazioni hanno permesso di distinguere due tipologie principali di eventi di accelerazione: quelli associati ai solar flares, fenomeni esplosivi localizzati, e quelli collegati alle coronal mass ejections (CME), espulsioni di plasma e campo magnetico su larga scala. La distinzione, ipotizzata da decenni, trova ora una conferma osservativa diretta (ScienceDaily, 2025).

Questa scoperta è rilevante non solo dal punto di vista astrofisico, ma anche per la sicurezza delle attività spaziali. Gli elettroni accelerati durante le CME, infatti, possono avere energie più elevate e durare più a lungo, costituendo una minaccia significativa per satelliti, strumenti scientifici e astronauti (Earth.com, 2025).

Due meccanismi distinti di accelerazione

I dati raccolti da Solar Orbiter mostrano che gli eventi impulsivi, associati a solar flares, sono caratterizzati da emissioni rapide e localizzate. In questo caso gli elettroni vengono accelerati in corrispondenza di regioni di riconnessione magnetica, generando pacchetti di particelle che si propagano quasi istantaneamente lungo le linee di campo (Space.com, 2025).

Al contrario, gli eventi graduali si associano a shock da CME. Qui il fronte d’urto della nube di plasma agisce come un meccanismo di accelerazione diffusa (diffusive shock acceleration), fornendo energia agli elettroni per periodi più prolungati. Come evidenziato da Warmuth (AIP Potsdam), i dati mostrano una chiara separazione tra queste due famiglie di eventi, confermando la doppia origine dei SEE (ESA, 2025; ScienceDaily, 2025).

Il Sole
Il sole svela i suoi segreti, ecco come (Freepik Foto) – www.aerospacecue.it

Propagazione nello spazio interplanetario

Un risultato significativo riguarda la comprensione dei ritardi nell’arrivo dei SEE. Studi precedenti ipotizzavano che i ritardi fossero dovuti a un’emissione posticipata; i dati di Solar Orbiter indicano invece che gran parte del ritardo deriva dalla propagazione: interazioni con il vento solare, turbolenze magnetiche e processi di scattering che deviano e diffondono gli elettroni lungo le linee di campo interplanetarie (Earth.com, 2025).

Questo risultato, come spiegato da Rodríguez-García (ESA), è essenziale per la modellazione predittiva. Una migliore caratterizzazione della propagazione consente di affinare le simulazioni di space weather e migliorare la capacità di protezione delle infrastrutture spaziali. Secondo Müller (ESA), la mole di dati accumulati in soli cinque anni di missione costituisce un archivio unico per l’intera comunità scientifica (Space.com, 2025; Cosmos Magazine, 2025).