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Astronomi, emozione alle stelle | Un parto in piena regola: è nato un nuovo Pianeta

Nascita planetaria

Nascita planetaria (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it

E’ stato inquadrato proprio mentre stava nascendo. Mai nessun corpo era stato riguardato da simili catture nel corso dell’intera storia cosmica

La teoria dell’accrezione planetaria è la base inevitabile sulla quale si fonda l’intero processo di formazione del Sistema Solare, avvenuta 4,6 miliardi di anni fa, nonché di tutti i Pianeti che ne fanno parte. Si articola in fasi distinte.

Inizialmente una nube di gas e polveri è soggetta al collasso per effetto della gravità, portando alla formazione del disco protoplanetario, il cui materiale circostante, che compie una rotazione, si appiattisce e al suo interno una serie di minuscole particelle cominciano l’aggregazione.

Successivamente le polveri, scontrandosi e unendosi, danno origine ai planetesimi, che crescendo diventano veri e propri protoplaneti. I più estesi si riscaldano, portando alla separazione dei propri materiali, con i metalli pesanti che si aggregano nel nucleo e i silicati verso mantello e crosta.

Infine, arriva il momento della effettiva costituzione dei pianeti: quelli interni, ravvicinati alla stella madre, ossia il Sole, saranno costituiti da materiali rocciosi, mentre quelli esterni, così detti giganti, catturando quantità di gas incredibili si tramutano in corpi ghiacciati, o in altri casi gassosi.

L’evento di svolta nella contemporaneità astronomica

Uno studio guidato dall’astronomo Laird Close dell’Università dell’Arizona e da Richelle van Capelleveen dell’Osservatorio di Leida, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, ha permesso di svelare l’esistenza di un pianeta nel corso della sua formazione, risultato essere il primo nella storia ad essere immortalato proprio nel corso del suo percorso di origine. Si tratta di WISPIT 2b, che ha preso forma ad una distanza pari a circa 56 volte quella che intercorre tra Sole e Terra, il tutto all’interno di un disco di polvere e gas.

Per comprenderlo più approfonditamente si è rivelato fondamentale combinare i dati ottenuti da telescopi e tecnologie fortemente all’avanguardia, quali il sistema di ottica adattiva estrema MagAO-X, presso il Telescopio Magellano, sito in territorio cileno. L’esperto Close ha affermato che, nonostante ci fossero dubbi circa la capacità da parte dei protopianeti di creare simili lacune, lo studio ha testimoniato come ciò sia totalmente possibile, a dispetto dell’assenza, almeno sino ad oggi, di protopianeti contenuti nelle lacune presenti tra gli anelli, esistente soltanto a livello teorico.

Wispit 2b
Wispit 2b (INAF foto) – www.aerospacecue.it

Un elemento cruciale per verificare le teorie

Ma quando parliamo di dischi protoplanetari, a quali strutture facciamo riferimento? Si tratta di enormi agglomerati costituiti da polveri e gas, siti in posizione circostante rispetto alle stelle appena nate, indispensabili per la successiva formazione dei pianeti. Possiedono un aspetto analogo a quello di più anelli ravvicinati, separati da lacune scure, precedentemente inquadrati dagli esperti come semplici zone vuote, che a detta degli stessi risultavano capaci di agire come “spazzaneve cosmici”, ripulendo così la propria orbita.

In precedenza, però, erano stati soltanto 3 i pianeti in fase di accrescimento ad essere soggetti a fotografie e nessuno di questi si presentava all’interno di varchi contenuti tra gli anelli. L’utilizzo dell’idrogeno alfa, altresì noto come H-alfa, si è rivelato fondamentale per gli esperimenti condotti dal team di ricerca, perché ha permesso allo stesso di ricercare la propria firma luminosa, riuscendo a distinguere il segnale debole emesso dal Pianeta rispetto alla ben più nitida luce proveniente dalla propria stella madre. A riportarlo è un articolo comparso su L’Indipendente.