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Tutti pensavano che questo Pianeta fosse morto, ma si sono dovuti ricredere | Il metano gli ha fatto fare dietrofront

I pianeti del sistema solare (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it

I pianeti del sistema solare (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it

Credevano fosse un pianeta ormai morto e immobile, ma un segnale debole ha rivelato un’attività ancora in corso.

C’è una zona del Sistema solare che sembra uscita da un racconto di fantascienza: lontanissima, gelida e silenziosa. Un posto dove — per anni — gli scienziati hanno pensato non succedesse più nulla. Mondi dimenticati, ghiacciati, condannati a orbitare per sempre senza vita. Eppure, proprio lì, qualcosa si è mosso. O almeno così sembra.

Negli ultimi tempi, grazie a strumenti sempre più sofisticati, queste regioni remote stanno tornando sotto i riflettori. Non parliamo dei soliti pianeti noti, ma di oggetti minori, piccoli, lontanissimi. Corpi che, finora, venivano osservati con sufficienza — troppo distanti, troppo freddi. Ma anche il buio più profondo può nascondere qualche scintilla.

E poi c’è la Fascia di Kuiper, una specie di enorme cimitero cosmico oltre Nettuno, pieno di detriti e pianeti nani. Si pensava fosse tutto fermo, congelato nel tempo. Invece no. Qualcosa si sta muovendo, anche se con lentezza estrema. Forse non è tutto così “morto” come si era portati a credere. Forse, lì sotto, c’è ancora energia.

Una piccola variazione, un dettaglio minuscolo… ed ecco che parte il dubbio. Non è nemmeno necessario osservare direttamente un’atmosfera o un’attività visibile. Basta un segnale, anche impercettibile, per rimettere in discussione tutto. E a quel punto la domanda diventa inevitabile: cos’altro ci siamo persi finora?

Un indizio quasi invisibile

Il colpo di scena è arrivato grazie al James Webb Space Telescope — ormai una vera star dell’astrofisica. Stavolta ha puntato gli occhi su Makemake, un pianeta nano nascosto ai margini del Sistema solare. E proprio lì, come riporta HDblog, ha rilevato qualcosa di inatteso: tracce di metano in forma gassosa. Sì, gas. In un posto che si pensava completamente ibernato.

Non è una semplice osservazione “strana”: per il team guidato da Silvia Protopapa del Southwest Research Institute, quei dati parlano chiaro. Il metano non è solo imprigionato nei ghiacci, ma è presente anche allo stato gassoso. Il che suggerisce che Makemake non sia poi così statico. Anzi, potrebbe essere molto più attivo di quanto si pensasse.

Illustrazione di Makemake (NASA foto) - www.aerospacecue.it
Illustrazione di Makemake (NASA foto) – www.aerospacecue.it

Una scoperta che cambia la prospettiva

Fino a oggi, solo Plutone aveva mostrato segni simili. Ora, anche Makemake entra nel club ristretto dei mondi “vivi”. Con i suoi 1.430 chilometri di diametro, non è certo una potenza cosmica, ma sembra avere ancora qualcosa da dire. Il JWST ha rivelato segnali che potrebbero indicare un’attività interna ancora in corso, forse debole, ma reale.

Le ipotesi sono due: o esiste una sottilissima atmosfera (sottilissima è dire poco… si parla di pressioni ridicole, tipo 10 picobar), oppure il metano viene rilasciato da fenomeni momentanei come criovulcani o sublimazione, simili a quelli osservati nelle comete. In entrambi i casi, Makemake non è un blocco di ghiaccio muto: è un mondo che respira ancora. Anche se in modo quasi impercettibile.