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Dal deserto più profondo, una scoperta che lascia gli scienziati senza parole | Non è iniziato tutto dal Bing Bang

Illustrazione del Big Bang

Illustrazione del Big Bang (Shutterstock foto) - www.aerospacecue.it

L’Universo potrebbe affondare le proprie radici in un fenomeno diverso da quello sino ad ora raccontato. Ecco cosa è stato scoperto

La più accreditata teoria scientifica inerente al processo di origine dell’universo e alla sua successiva evoluzione, comunemente portata avanti dalla quasi totalità della comunità scientifica, è naturalmente quella del Big Bang.

Stando a quanto esposto da tale spiegazione, circa 13,8 miliardi di anni fa un’enorme concentrazione di energia, rappresentata da ogni elemento esistente, precedentemente concentrato esclusivamente in un punto dell’universo, particolarmente denso, ha cominciato ad espandersi.

E proprio questo rapido processo ha favorito la nascita dell’immensa regione per come la conosciamo – o la stiamo imparando a conoscere – oggi. Sebbene si sia soliti indicarla come una grande esplosione, gli esperti la trattano più come una reale espansione dello spazio.

La cosa affascinante è che questo processo sta continuando, da allora, fino ad oggi: e se una volta il raffreddamento delle particelle generatesi portò alla nascita di stelle, galassie e pianeti, oggi sta favorendo un inesorabile allontanamento tra le galassie.

Un’ipotesi sconvolgente

Il telescopio Murchison Widefield Array, strumento di ultimissima generazione in grado persino di captare le onde radio più deboli che provengono addirittura da epoche lontane del tempo, periodi storici durante i quali l’intero cosmo era, di fatto, totalmente avvolto nel mistero, o quasi. Ci troviamo in Australia Occidentale, dove proprio questo sofisticato dispositivo si trova posizionato, il quale si è reso protagonista di quello che gli scienziati non hanno avuti problemi a definire come un vero e proprio viaggio nel tempo, risalendo al momento in cui l’universo aveva trascorso soltanto un miliardo di anni successivamente al Big Bang: proprio durante la fase che vide la nascita e l’accensione delle primissime stelle nel contesto di buio cosmico che aveva dominato questa immensa, forse interminabile, regione sino ad allora.

A guidare il gruppo di scienziati che si è speso nel lavoro è stata Cathryn Trott della Curtin University, la quale ha condotto analisi su dati decennali, al fine di ricercare le tracce risalenti alla così detta “epoca della reionizzazione“, ossia quella fase durante la quale l’universo, precedentemente ricco unicamente di idrogeno, neutro e freddo, iniziò il processo di ionizzazione, il tutto per mezzo della luce ultravioletta prodotta ed emessa dalle primissime stelle e galassie formatesi.

Murchison Widefield Array
Murchison Widefield Array (Curtin University foto) – www.aerospacecue.it

Quali approfondimenti saranno necessari?

I risultati dello studio sono stati, infine, pubblicati su The Astrophyisical Journal, portando ad una chiara definizione di quello stesso periodo come l’inizio di un lento di riscaldamento, il cui punto di avvio corrispose all’incirca a 800 milioni di anni successivi al Big Bang, a causa, presumibilmente, dei buchi neri primordiali, oltre che dai resti stellari capaci di irradiare raggi X in grandi quantità nell’intero quadro cosmico.

Le domande degli scienziati, a questo punto, si sono focalizzate e continueranno a focalizzarsi sui segnali direttamente correlati a tale riscaldamento: in merito, si denota ancora la presenza di tracce compatibili con uno scenario universale freddo. Per questo, un’eventuale rilevamento di segnali connessi, magari attraverso il filtraggio del rumore che proviene dalle stelle e dalle galassie potrebbe essere l’unico modo di rendere possibile questa sfida, altrimenti impossibile da risolvere. A riportarlo è Tech Everyeye.