Rocce spaziali ritrovate sulla Terra: “Sono tutte intorno a noi” I Il ritrovamento dopo 11 milioni di anni: ecco cos’hanno portato fino a qui
Piccolo meteorite (Depositphotos foto) - www.aerospacecue.it
Nel deserto riemergono tracce di un impatto antico e misterioso, che la scienza moderna sta finalmente decifrando.
Nel bel mezzo del nulla – e intendiamoci, proprio il nulla – c’è un angolo dove il tempo sembra essersi messo in pausa. Un posto che, a prima vista, non dice molto. Sabbia, rocce, vento. Eppure lì sotto… qualcosa si agita. O meglio, ha lasciato il segno, anche se quasi nessuno se n’è accorto. Tracce sottili, silenziose, che parlano di un passato gigantesco e invisibile. Un enigma geologico sepolto, letteralmente.
Certe volte la Terra si diverte a nascondere i suoi segreti meglio di qualsiasi romanzo giallo. Ci sono zone che sembrano normali, ma non lo sono affatto. Anzi, sono proprio quelle che, a forza di sembrare insignificanti, riescono a custodire misteri immensi. E lì, tra un masso e l’altro, chi guarda bene potrebbe cogliere qualcosa. Un’ombra, un’impronta dimenticata, una storia che non è stata ancora raccontata.
Ecco, qui entra in gioco la scienza. Ma non quella che dà risposte veloci. Quella paziente, che osserva, studia, riprende vecchi appunti e si chiede: “E se ci fossimo persi qualcosa?”. Dettagli lasciati da parte, campioni trascurati, ipotesi rimaste a metà. Ogni tanto, a distanza di decenni, tornano a galla. E allora sì che le cose iniziano a cambiare.
Perché il punto è proprio questo: certe domande non smettono mai di farsi sentire. Anche se passano gli anni, anche se le teorie vanno e vengono. Alcuni indizi restano lì, fermi, aspettando qualcuno disposto a rimettere insieme i pezzi. Magari partendo da un dettaglio strano, da un’eccezione.
Quella vecchia intuizione rimasta a metà
Nel ’69, due scienziati della Nasa (di quelli che non mollano mai) si misero a esaminare centinaia di piccole rocce raccolte nel deserto australiano, come riporta Wired. Tectiti, si chiamano così. Niente di strano, se non fosse che otto di queste erano… beh, diverse. Mineralmente diverse, come se venissero da tutt’altra parte. Una roba abbastanza fuori standard da far pensare a un impatto completamente separato dagli altri già noti.
Il bello è che per anni nessuno se ne è fatto molto. L’idea era interessante, certo, ma è rimasta lì. Fino a quando un gruppo di ricercatori — tra cui c’è anche la geologa italiana Anna Musolino — ha deciso di riprendere in mano quella vecchia intuizione. I campioni originali? Spariti. Ma per fortuna c’erano ancora descrizioni chimiche dettagliate. E con quelle in mano hanno passato al setaccio una collezione conservata al South Australian Museum. Trovando sei rocce che sembrano proprio quelle di allora.

Quando la sabbia conserva ciò che il tempo ha nascosto
Da lì, è partita la vera sorpresa: le nuove analisi — usando la tecnica della datazione argon-argon — hanno rivelato che queste sei rocce, chiamate ora ananguiti, risalgono a ben 11 milioni di anni fa. Un tempo lunghissimo, molto più lontano di quello delle altre tectiti australiane conosciute finora. Quindi sì, si tratta di un impatto tutto diverso. E molto, molto più antico.
Ma… e il cratere? Eh, il cratere non c’è. O meglio: non si trova. Potrebbe essere sepolto, o magari cancellato dai millenni. Gli studiosi lo stanno ancora cercando, cercando di capire dove potrebbe essere avvenuto tutto questo. Le ananguiti orientali e quelle occidentali sembrano avere differenze importanti, dicono. Differenze che, forse, aiuteranno a restringere la zona dell’impatto. Ma per ora, resta solo una certezza: c’è stato qualcosa di enorme, e le sue tracce sono lì, a ricordarcelo.
